not necessarily an ordinary life
giovedì 28 giugno 2012
Il telefono, la tua voce (forse)
Quando mi sento ansiosa, ti chiamo sempre. Mi chiedi cosa succede e io ho la stessa risposta da anni: non so se ce la faccio. Tu non vuoi nemmeno sapere cosa succede e mi ripeti di stare tranquilla: non sono ancora riuscita a capire se è perché mi stimi troppo o perché vuoi tagliar corto. Poi mi rassicuri e mi chiedi cosa c'è che non va e io rispondo sempre con la stessa parola: niente. Hai l'accortezza di non domandarmi perché ti ho chiamato allora e rimani in attesa. E io ribadisco che va tutto bene perché in effetti è la verità ed è un ottimo periodo e che però sono dubbiosa, insicura, mai contenta. Se mi avessero raccontato 8 mesi fa tutto questo, il neurone ci avrebbe fatto una bella risata e poi avrebbe chiesto: ok, dove si firma, come si ottiene? E allora a maggior ragione mi chiedi quindi perché ho la sensazione di essere il classico elefante nella cristalleria, che appena si muove sbaglia. Prevengo la tua obiezione: sbaglio anche stando ferma. Vedi che non se ne esce? Mi ripeti che mi merito tutto quello che desidero. Io rispondo che bisogna fare attenzione a quello che si desidera, perché potrebbe realizzarsi. sciocchezze da filosofi, mi dici. Ma io e te sulla filosofia abbiamo sempre avuto punti di vista diversi e prima che la conversazione si esaurisca ci salutiamo. Io ho avuto un consiglio, tu forse qualche minuto in meno sulla tabella della giornata. In fondo a questo servono gli amici, no?
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